La realizzazione dei parcheggi in struttura, qualora situati su suolo pubblico (o nel relativo sottosuolo) rientra nell’ambito dei lavori pubblici, disciplinati dal decreto legislativo n. 163/2006 (c.d. Codice dei Contratti). A partire dal 2000 gli strumenti di gran lunga più utilizzati per la realizzazione di tali interventi sono quelli del partenariato pubblico-privato (PPP) previsti dal Codice (e prima ancora dalla legge Merloni), e cioè la concessione (di cui all’art. 143 e seguenti) e le procedure di finanza di progetto evidenziate nei vari commi dell’art. 153.

Ad un iniziale periodo di partecipazione quasi entusiastica degli operatori economici privati alle diverse iniziative di PPP nel settore dei parcheggi – che ha visto il suo culmine negli anni tra il 2003 ed il 2005 – ha fatto seguito una fase di scetticismo e di disimpegno sempre più acuta (aggravata dalla crisi economica degli anni recenti), man mano che diventavano evidenti e tangibili le difficoltà, le lungaggini burocratiche ed amministrative e gli ostacoli dovute al’opposizione di determinate categorie di cittadini (commercianti, residenti, ambientalisti) che si frapponevano tra l’aggiudicazione della concessione e l’inizio dei lavori. Laddove tale intervallo dovrebbe avere una durata di 12 o al massimo 18 mesi (comprese le fasi di progettazione definitiva ed esecutiva), in molti casi l’iter si è protratto per diversi anni, con alterne fasi di mancanza o di ritorno di interesse nei confronti della realizzazione dell’intervento, non di rado collegate al mutare del quadro «politico» dell’amministrazione di riferimento. Va inoltre considerato che nella maggior parte dei casi la stipula del contratto di concessione non segue immediatamente l’aggiudicazione, ma viene posticipata fino a dopo l’approvazione del progetto definitivo.

Soprattutto negli USA, ma anche in Europa, i grandi parcheggi in struttura sono spesso di proprietà privata (Fort Lauderdale, Florida).

Un piano economico-finanziario accurato e completo è indispensabile per la corretta valutazione del valore economico e del rendimento dei parcheggi in struttura.

Come si può ben intuire, i costi di questi eccessivi e prolungati tempi morti ricadono sulla componente privata del PPP, cioè sul concessionario, il quale – predisponendo il piano economico-finanziario dell’intervento – fa riferimento ad un orizzonte temporale ragionevole, nei confronti del quale qualsiasi dilatazione non prevista ha un prezzo non indifferente in termini finanziari, in ragione dei costi e degli oneri sostenuti per l’aggiudicazione della concessione e per le successive fasi di progettazione (comprensive delle diverse indagini geognostiche, archeologiche e specialistiche, indispensabili soprattutto per la realizzazione dei parcheggi interrati), oltre che per seguire l’iter amministrativo della concessione, nelle sue diverse componenti. Per tali ragioni è comprensibile come dopo qualche anno il concessionario debba chiedere all’amministrazione concedente una revisione del piano economico-finanziario originario, che lo metta in grado di far fronte ai nuovi costi sostenuti: ha inizio così una fase di contrattazione che non si conclude necessariamente con un accordo, ma spesso produce ulteriori dilazioni o interruzioni dell’iter, sfociando non di rado in un contenzioso dagli esiti incerti per entrambe le parti. Accade così che diversi interventi non vadano a buon fine.

Non vi è dubbio come in molti casi la responsabilità di questo stato di cose sia da attribuire anche alla mancanza di preparazione delle amministrazioni e degli enti pubblici (cioè dei soggetti tenuti all’applicazione delle norme del Codice dei Contratti) nell’intendere e nell’applicare gli strumenti del PPP. Per sua natura, il concetto di partenariato (mediato dal termine inglese partnership) prevede una collaborazione tra due soggetti posti sullo stesso piano (il pubblico ed il privato) per il conseguimento di un obiettivo comune (la realizzazione dell’opera di pubblico interesse). Invece nella prassi dell’applicazione delle procedure viene frequentemente mantenuto, almeno in Italia, lo stesso atteggiamento mediato probabilmente dalla procedura dell’appalto, per cui al soggetto pubblico viene attribuito un potere decisionale «dominante», svincolato da qualsiasi onere finanziario conseguente alle decisioni prese (o alle mancate decisioni), mentre il soggetto privato viene considerato come parte «subordinata», che deve farsi carico – possibilmente senza reagire – dei vari costi conseguenti all’iter della procedura, gestito quasi esclusivamente dal soggetto pubblico, che tende a far rientrare tutti i costi nell’ambito del cosiddetto «rischio di impresa». Per fortuna non è sempre così, ma lo è in molti casi.

La mancanza di preparazione e la superficialità con cui vengono utilizzati gli strumenti del PPP da parte delle amministrazioni pubbliche si possono riscontrare fin dalla predisposizione dei relativi bandi di gara: nonostante le disposizioni e le istruzioni predisposte dall’AVCP (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici), in particolare con le determinazioni n. 1/2009, 2/2009 e 2/2010, in merito alla completezza ed all’approfondimento degli studi di fattibilità necessari per procedere alla realizzazione di opere pubbliche mediante procedure di PPP, spesso i bandi sono del tutto carenti di quegli elementi di base che devono consentire agli operatori economici di poter valutare correttamente quali concrete probabilità ha l’intervento di poter andare a buon fine. Inoltre i piani economici-finanziari di massima posti a corredo dei bandi sono in vari casi estremamente superficiali: sopravvalutano alcuni elementi, ne sottovalutano o trascurano altri, e considerano accettabili (o perfino vantaggiosi) tassi di rendimento interno che non giustificano in alcun modo il rischio economico-finanziario connesso all’operazione. Oltre a dover sostenere tutti gli oneri per la realizzazione dell’intervento, non di rado vengono addebitate al soggetto privato anche le spese (vere o presunte) sostenute dall’amministrazione per la predisposizione dell’operazione. Insomma, qualche volta si ha l’impressione che tutta la procedura sia un espediente messo in atto dal soggetto pubblico per sfruttare risorse a buon mercato.

La realizzazione del grande parcheggio interrato Novi Sad a Modena (da 1700 posti auto su due livelli) ha richiesto un investimento di 27 milioni di euro, pari a quasi 16.000 euro a posto auto.

Per passare dalla fase ideativa alla concreta realizzazione di un parcheggio in struttura, specie se interrato, devono essere superati diversi ostacoli, che non di rado comportano un iter di vari anni.

Naturalmente si può obiettare che nessun operatore economico è obbligato a partecipare a tali gare (che difatti vanno deserte sempre più di frequente), e che il piano economico-finanziario che ha valore è quello predisposto dal concorrente in sede di offerta, e non quello allegato al bando di gara. Queste obiezioni sono condivisibili fino ad un certo punto, anzitutto perché non si comprende quale vantaggio possano rappresentare le procedure di PPP nei confronti di operazioni (considerate di pubblico interesse) alle quali non conviene partecipare; in secondo luogo perché vi sono casi nei quali i parcheggi oggetto dell’intervento presentano effettivamente (per l’ubicazione, per la presenza di un’effettiva domanda e per la fattibilità tecnica) un interesse per il potenziale concessionario, ma le condizioni per vincere la gara di concessione sono individuate sulla base delle valutazioni effettuate dalla stazione concedente, e del piano economico-finanziario di massima predisposto dalla medesima. Il concorrente pertanto sa già che, qualora presentasse un piano economico-finanziario realistico, completo ed affidabile, non avrebbe nessuna possibilità di vincere la gara, dunque si adegua presentando un piano inadeguato, plasmato essenzialmente su quello a base di gara. E poiché tutti i concorrenti finiscono col comportarsi allo stesso modo, la gara procede effettivamente in base all’offerta più vantaggiosa per la pubblica amministrazione, con la consapevolezza (e con la riserva mentale) da parte dei concorrenti che una volta ottenuta la concessione le condizioni previste dal piano economico-finanziario andranno prima o poi rinegoziate. È quanto accade spesso, in altra forma, anche per gli appalti, con il conseguente allungamento dei tempi ed incremento dei costi di realizzazione delle opere pubbliche.

Oltre alla predisposizione di un corretto piano economico-finanziario (la cui redazione dovrebbe essere sempre affidata a soggetti dotati di una specifica preparazione e competenza nel settore di cui l’intervento fa parte), le amministrazioni pubbliche dovrebbero risolvere preliminarmente i vari problemi di natura politica ed ambientale che possono ostacolare la realizzazione dell’intervento mediante una procedura di PPP. In parole povere, la pubblicazione di un bando di concessione o di finanza di progetto dovrebbe rappresentare in sé la prova della determinazione e dell’impegno da parte dell’amministrazione pubblica nella realizzazione dell’intervento, in quanto giudicato di pubblico interesse. E questo indipendentemente sia dal colore politico dell’amministrazione stessa (che può cambiare da un giorno all’altro), sia dalle eventuali opposizioni da parte di gruppi di cittadini, sempre pronti ad intervenire con motivazioni più o meno ragionevoli, ma che dovrebbero essere prese in considerazione e valutate dalle forze politiche prima dell’indizione della gara, e non dopo l’aggiudicazione della concessione. Senza queste indispensabili correzioni, lo strumento del PPP, che ha dato risultati di rilievo in diverse nazioni europee, da noi è destinato al fallimento (come di fatto sta già accadendo). Oltre alla mancata realizzazione delle opere pubbliche, le richieste di penali da parte dei concessionari (pur soggette ai tempi biblici della giustizia amministrativa italiana) finiranno per costituire un ulteriore onere che grava inutilmente sulle tasche dei cittadini contribuenti.

Bologna: costruzione del parcheggio interrato Riva Reno, da 540 posti auto, ultimato nel 2009 e realizzato in concessione (32 anni di gestione).

Nonostante tutte queste difficoltà, un certo numero di parcheggi in struttura ad uso pubblico è stato realizzato in Italia negli ultimi venti anni: si tratta di interventi costruiti per la maggior parte sul suolo pubblico, ma in alcuni casi anche su terreni privati (e dunque di proprietà privata).

Da qualche anno a questa parte l’attenzione di alcuni investitori professionali europei si è indirizzata verso l’acquisizione dei parcheggi in struttura, considerati come opportunità di investimento, soprattutto in Inghilterra, in Germania ed in altre nazioni del nord Europa, nelle quali la proprietà dei parcheggi comprende anche il suolo (o il sottosuolo) in cui vengono realizzati.

Nella valutazione, la proprietà di un parcheggio (ownership) viene completamente distinta dalla gestione (operation). Quest’ultima viene affidata ad un gestore professionale (di solito una società che opera a livello nazionale o europeo), il quale stipula un contratto col proprietario. Il valore ed il rendimento dell’investimento sono dovuti sia al canone annuo che il gestore si impegna a versare al proprietario (costituito in genere da una quota fissa e da una variabile in funzione degli utili conseguiti), sia dall’eventuale rivalutazione dell’immobile nel tempo. Il contratto tra il proprietario ed il gestore può presentare una certa complessità, in quanto va definito a chi fanno carico i vari oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria. Si tratta dunque di operazioni per la cui messa a punto è opportuna e necessaria la consulenza di professionisti con provata esperienza nel settore: la convenienza dell’acquisizione deve essere valutata caso per caso, con un’approfondita «due diligence» che metta ben a fuoco tutte le componenti gestionali, in modo da poter quantificare con realismo ed affidabilità l’entità del canone oggetto della contrattazione.

Maastricht: interno del grande parcheggio interrato Mosae Forum, realizzato da Q-Park, società di livello europeo che lo gestisce e ne è proprietaria.

Un livello del parcheggio interrato Cittadella da 750 posti auto, realizzato in concessione a Verona da Astaldi Spa e Apcoa Parking Italia Spa.

Dato che questo tipo di investimento presenta attualmente una fase di crescita presso investitori istituzionali europei, se ne deduce che in alcuni casi vi è un’effettiva convenienza ad acquisire la proprietà di un parcheggio: pragmaticamente, il fatto che un parcheggio in struttura sia stato realizzato implica che siano stati già superati tutti gli ostacoli amministrativi, tecnici, ambientali ed eventualmente politici che intervengono nella fase più delicata relativa all’ideazione progettuale, all’iter di approvazione dei progetti ed alla costruzione dell’intervento. Se poi il parcheggio è già operativo da qualche tempo, sono disponibili anche dati affidabili sulle tariffe applicate, sul tasso di occupazione (e dunque sul gradimento da parte dell’utenza), sulle richieste di abbonamenti, ecc. È dunque possibile valutare con precisione il successo dell’intervento e la sua redditività, che deve essere sufficiente a remunerare tanto il gestore quanto il proprietario.

Non tutti i parcheggi in struttura presentano però i requisiti necessari per essere considerati un buon investimento. Lo sono soprattutto quelli situati nelle aree più centrali delle maggiori città europee, laddove la domanda di sosta è forte e le tariffe orarie sono elevate. Qualora un parcheggio sia di proprietà privata, la sua acquisizione da parte di un investitore non presenta particolari problemi, essendo oggetto di una trattativa tra privati.

Un caso che merita invece particolare attenzione, e che si può presentare con una certa frequenza in Italia (così come in Francia o in Spagna), è quello relativo al trasferimento di proprietà di parcheggi realizzati come opere pubbliche, in regime di concessione. Com’è noto, in questo caso la proprietà del concessionario è limitata alle opere realizzate ed al periodo di durata della concessione, al termine della quale la proprietà si trasferisce interamente (e senza alcun onere) all’amministrazione pubblica concedente. L’eventuale investitore deve dunque valutare il rendimento dell’intervento in relazione al tempo residuo della concessione, al termine della quale il valore dell’immobile andrà stimato pari a zero. Inoltre, le clausole della concessione devono prevedere la modifica della compagine sociale del concessionario, cosa che di solito è consentita purché vi sia l’assenso dell’amministrazione concedente. Tuttavia, proprio per queste ragioni, il numero dei parcheggi pubblici realizzati in concessione che possono risultare appetibili per gli investitori si riduce ulteriormente, ed è indispensabile che la due diligence redatta dagli esperti del settore valuti con molta precisione i ricavi e gli oneri gestionali, dai quali dipende integralmente la redditività del parcheggio nell’arco di tempo residuo della concessione.

La ristrutturazione dei miniparcheggi può prevedere l’installazione di sistemi meccanizzati elevatori a più livelli, che consentono un miglior sfruttamento dell’altezza dei locali.

È opportuno ricordare che nelle grandi città italiane esistono tuttora numerosi garage privati ad uso pubblico, che potranno mantenere anche in futuro consistenti quote di mercato, soprattutto in ragione della loro diffusione capillare: infatti la difficoltà di reperire spazi adeguati per la costruzione di parcheggi in struttura nei centri storici, e gli ostacoli che devono essere superati per la realizzazione di tali interventi, garantiscono la sopravvivenza di questo tipo di autorimesse.

Sotto questo profilo, potrebbe essere conveniente per gli investitori italiani ed europei interessati all’acquisizione dei parcheggi subentrare gradualmente agli attuali proprietari (spesso interessati a cedere l’attività in cambio di un ragionevole corrispettivo), in modo da inserirsi nel parking business di queste città. Acquistando alcuni parcheggi e disponendo di adeguate risorse finanziarie, un operatore professionale potrebbe creare una rete di autorimesse, adeguatamente ristrutturate e soggette poi ad una gestione unitaria. La ristrutturazione avrebbe lo scopo di adeguare ed incrementare gli standard operativi e funzionali di questi garage, in modo da poter meglio soddisfare le esigenze dell’utenza, ottimizzando allo stesso tempo i costi ed i risultati gestionali.

In questa mappa del centro di Milano si nota la diffusione capillare delle autorimesse a gestione artigiana (miniparcheggi) rispetto ai parcheggi pubblici a gestione professionale.

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